IT TAKES TWO TO TANGO.
Perhaps it is the company I keep, but recently I have been pestered with questions about the “meaning” of music in general and piano performance in particular. I am definitely not qualified to answer the first, but with the second I may have something to offer… While giving an interview to an astute journalist in Germany some weeks ago, an interesting question arose as to the role of the interpreter versus that of the listener in the making of a musical interpretation. With the sizable exception of sound recordings, where so much can happen behind closed doors to the blissflul ignorance of the listener, live music making implies an emotional participation on the part of the listener also. A typical piano recital will have offerings from different eras, styles, and emotional implications. It is virtually impossible that a whole audience will have the same approach and reaction to such diversity; thus, it is euqally impossible to reach an audience in its entirety! In our age of overblown publicity and reverence to appearances, charisma is half the battle: certain people have a certain aura about themselves that irradiates an impression of grandeur from the moment they walk on the stage. Significantly, those present will remember a great musical event – irrespectively of what happened on stage! Others, of more modest demeanour, will suffer the reverse process: perhaps their playing is magnificent, but a lack of stage presence will lessen the audience’s perception and its subsequent memory of the event. So far, (not) so good. Musically, this balancing act is equally palpable. You could do devilish things on a platform, but if your audience is not in the mood for what you are doing, I’m afraid your concert will be half amiss. It takes two to tango, and if left alone the interpreter can do next to nothing in this respect but pour his heart into whatever is in the programme and hope for the best! When it works, when you can reach an audience to the full of music’s marvellous potential, something magical happens, and perhaps a great interpretation materialises itself. I am convinced that we are not meant to understand why this happens. If we did, it would not be magical. And it definitely would not be as exciting for both players and listeners alike.
Forse è a causa della compagnia che intrattengo, ma recentemente sono stato bombardato di domande sul “significato” della musica in generale e delle interpretazioni al pianoforte in particolare. Di sicuro non sono qualificato per rispondere alle prime, ma forse sulle seconde ho qualcosa da dire… Rilasciando una intervista ad un astuto giornalista tedesco, qualche settimana fa, è venuta fuori una questione interessante sul ruolo dell’interprete rispetto a quello dell’ascoltatore nella creazione di una interpretazione musicale. Con la notevole eccezione delle registrazioni audio, dove molto accade a porte chiuse, la musica dal vivo implica anche una partecipazione emotiva da parte del pubblico. Un recital tipico presenterà lavori di epoche, stili ed emotività diverse, e per questo è praticamente impossibile che un’intera platea abbia il medesimo approccio a tanta diversità. Ne consegue che è praticamente impossibile raggiungere l’intera platea! In quesa era di pubblicità esagerata e di riverenza verso le apparenze, il carisma è metà dell’opera: certi musicisti hanno un’aura di grandezza indiscutibile, percepibile dal momento in cui entrano in scena. Dei loro concerti, il pubblico ricorderà un grande evento musicale – indipendentemente da quello che è successo sul palcoscenico! Altri, dal comportamento più modesto, soffrono il processo opposto: magari suonano magnificamente, ma l’assenza di carisma sminuisce il loro effetto sul pubblico e la memoria che quest’ultimo serberà dell’evento. Fin qui, tutto (mica tanto) bene. Musicalmente, questo equilibrismo emotivo è ugualmente palpabile. Puoi suonare come un demonio, ma se il tuo pubblico non è sulla tua stessa lunghezza d’onda, ohimé, il tuo concerto sarà un mezzo fiasco. Per ballare bisogna essere in due, e se l’interprete è lasciato solo c’è ben altro ch’egli possa fare ma suonare con passione il suo programma e sperare in bene. Quando funziona, quando raggiungi il tuo pubblico con la pienezza del meraviglioso potenziale della musica, succede qualcosa di magico, e forse è così che nascono le grandi interpretazioni. Sono convinto che non ci sia bisogno di capire poerché, né come ciò avvenga. Se lo facessimo, scomparirebbe la magia. E di sicuro tutto sarebbe meno entusiasmante sia per l’interprete che per il suo pubblico.